Decimo e il suo territorio.

Innesto degli ulivastrelli selvatici esistenti nelle siepi del paese.

 

Alcuni spunti sull’economia, il paesaggio agrario e la popolazione tra l’ottocento e l’età contemporanea[1].

Nel 1806 il viceré Carlo Felice concesse la facoltà di chiudere i terreni nei quali si intendesse impiantare oliveti. Inoltre obbligò le chiese, case pie e corpi ecclesiastici ad investire i loro capitali disponibili nell’innesto dei predetti oliveti. A questo scopo fu encomiabile l’opera, in Decimomannu, del vicario Fadda che vedendo nelle campagne del paese una improduttiva quantità di olivastri, prese l’iniziativa di valorizzarli, insegnando ai propri parrocchiani il modo di innestarli e la pratica della potatura[2]  

Dalla; “Relazione dell’accademico segretario aggiunto Serra D. Luigi luogotenente della Brigata d’Acqui”[3].

Alcuni contadini di Decimomannu, specialmente quelli anziani, erano contrari a valersi di tecniche nuove per lo sfruttamento di colture arboree che erano abbondanti nelle campagne decimesi. Fra le siepi nascevano spontanei gli ulivastri (“Ollastu”) che curati e operati diligentemente “divengono in pochi anni, rigogliosissimi ulivi”. Questi ulivastri crescendo con le siepi ne seguono la linea e osservandoli a debita distanza, sono talmente ordinati che non sembra siano opere della natura, ma potrebbero ritenersi un effetto di arte figurativa. La spontaneità degli ulivastri non influenzò minimamente l’indole dei contadini ignoranti, che non pensarono a quanto si potesse ottenere dagli stessi innestandoli a ulivi, sino a quando alcuni lungimiranti proprietari[4] del paese, disprezzando giustamente la caparbietà di questi contadini, provarono a vincerla con gli “effetti”. Coloro che si opponevano si facevano forti della loro esperienza, poiché alcuni ulivastri innestati non diedero frutto valido e anche in quantità scarsa. Questi attribuivano i risultati ottenuti alla; “poca analogia del clima con l’ulivo” e al fatto che fossero fra le siepi e con l’apparato radicale quasi a nudo, ma mai ricercando il vero motivo per cui gli alberi non davano frutto. Questa diatriba, anche apparentemente ragionevole, sarebbe durata molto se un socio benemerito di Decimo “non avesse trovato modo di superarla”[5].

Vedendo , il notaio Giovanni Schirru, che un ulivo del contadino Antonio Cabiddu di Decimomannu dava frutti regolarmente e abbondantemente, pensò che non fosse dovuto solo a cause naturali ma “alla qualità” degli ulivi dovesse attribuirsi la sino allora sperimentata scarsezza dei raccolti. Confrontò l’ulivo del Cabiddu con gli altri già innestati, conobbe la bontà di questi ed il pessimo genere di quelli, tanto fu sufficiente che, nel 1828 cominciasse in grande l’ innesto degli ulivastri che erano nei suoi “tancati” e seguendo l’operazione con intelligenza e costanza dopo pochi anni ottenne degli ottimi risultati. Con soli 140 ulivi dell’età di sei anni, ha ottenuto, quest’anno, oltre alle olive vendute a starelli[6] anche ottanta “Quartara” [7]di olio di eccellente qualità. Una parte di questo è stata riservata per l’anno successivo, alla propria famiglia. E’ noto infatti che l’ulivo produce in annate alternate. Questo modo di curare gli ulivi ha portato a quasi tutti i proprietari decimesi un reddito inizialmente solo sognato, che nel tempo andrà sempre aumentando.

Questo nuovo genere di coltura sarà foriero di altri ottimi risultati, oltre alla crescita impressa all’industria agricola, al progresso e perfezionamento della tecnica dell’innesto degli ulivastri, all’ impianto di un frantoio da parte del signor Anton’Efisio Bachis. Grazie a quest’impianto e di altri che sono già in programma, gli olivicoltori decimesi avranno dei vantaggi, sia qualitativi che di quantità. Infatti, mai dagli impianti di Villasor e San Sperate si sarebbero potuti avere i predetti vantaggi e le tariffe dei frantoi sarebbero state assai esose. Tecnicamente è risaputo che le olive perdono molto in resa e qualità se sono trasportate, la polvere le guasta, come pure l’umido, le muffe e hanno luogo dei fenomeni di saponificazione dell’olio. Quando poi la lavorazione riguarda piccole quantità, quasi non si ha prodotto finale.

Gli ulivi innestati in Decimo, sugli ulivastri selvatici nati spontaneamente sulle siepi, sono oltre quattromila, quantità che può anche centuplicarsi in pochi anni. Poiché si tratta di innesti su ulivastri adulti e ben radicati, l’innesto matura e si irrobustisce dando modo all’ulivo generato di produrre abbondantemente. Da questo, si considera normale che un ulivo possa produrre oltre cinque starelli di maturissime olive.

Il Dr. Luigi Serra è già da molti anni che si considera un “felice testimonio” dell’ardore dei decimesi nel trarre vantaggio da questo dono non considerato prima e ora provvidissimo . L’ardore contrasta con la precedente indifferenza, e che si spera convinca di quanto siano deboli i pregiudizi quando operando con zelo si ottengono buoni risultati.

Enrico Costa nel suo; “Guida racconto da Sassari a Cagliari e viceversa”[8] Dà una descrizione, in alcuni tratti anche fantasiosa, degli ulivastri di Decimo.

“Decimomannu è uno dei più cari [importanti] paesi meridionali. E’ anch’esso in mezzo al verde d’una rigogliosa alberatura e attorniato da campi ameni e fertilissimi. Per le sue campagne sono sparsi gli ulivi, i mandorli, i melograni ed alti pioppi, che rompono di tanto in tanto un pittoresco orizzonte, che termina colle [arginato dalle] severe montagne minerarie d’ Iglesias.

Una delle cose speciali e notevoli di Decimo sono gli immensi filari di ulivi che cingono i verdi campi, facendo le veci delle chiusure di fichi d’India. Gli ulivi di Decimo hanno un tipo ben diverso dagli ulivi del Capo settentrionale: Questi sono più asciutti, coi grigi tronchi angolosi, colle foglie più rare e di un verde pallido; quelli di Decimo sono più frondosi, di un verde carico e coi tronchi bruni e di forme più regolari.

Strano il lusso di quelle siepi! Più strana la storia della loro origine!

Sapete voi a chi si deve quel miracolo? Sapete voi chi piantò quelli ulivi così ordinati? Gli uccelli.

Dicesi che anticamente quei terreni fossero chiusi colle solite siepi usate nei dintorni [solite siepi di fichi d’India]. I tordi ed i merli, che rubavano le ulive [olive] dai paesi lontani, si portavano al volo sulle siepi di Decimo, per mangiarle con comodo. I noccioli, quando erano rosicchiati, cadevano a terra, e germogliavano. Sorsero gli olivastri; seguì l’innesto e venne il buon olivo [I noccioli cadevano a terra e germogliavano. Così sorsero i filari di olivastro; il quale si cambiò in buon olivo, quando più tardi gli agricoltori lo innestarono].

E questa la storiella che mi fu narrata in viaggio da persone autorevoli e degne di tutta fede; alle quali lascio tutta la responsabilità della leggenda. Certamente questi fatti saranno accaduti un mezzo secolo[9] prima di Cristo; cioè, al tempo dei Cartaginesi [I Cartaginesi giunsero in Sardegna nel IV secolo a.C. e vi rimasero fino al 238 a.C. anno dell’occupazione romana dell’Isola]. Ma se volete il mio parere, vi dirò: che è meglio dubitare dei merli che hanno regalato gli uliveti a Decimo, che diventar merli col crederlo[è meglio dubitare dei merli di Decimo, che diventar merli col credere ad essi].

Decimo ha acquistato molta importanza colla ferrovia; poiché la sua Stazione è quasi centro di tre linee: quella di Cagliari, d’Iglesias e di Sassari. Questo paese, fra gli altri pregi, ha quello di fabbricare e provvedere stoviglie per la festa del Carmine, che ha luogo in Cagliari[10], di più chiama i cagliaritani e gli abitanti dei paesi circonvicini alla festa di Santa Greca, che vi ricorre due volte l’anno.

[1]
                        [1] Da M. SOLLAI.

[2]
                        [2] CHERCHI PABA Evoluzione storica cit. 1977. 215s.

[3]
                        [3] Questo saggio è stato tratto dagli atti e relazioni delle “Memorie della Reale Società Agraria ed e

[4]
                        [4] Il notaio Giovanni Schirru socio ordinario corrispondente, il signor Luigi Serra, il signor Anton’Efisio Bachis, il signor Salvatore Collu, il signor Giuseppe Schirru.

[5]
                        [5] Il notaio Giovanni Schirru il quale ideò già e diresse i lavori del canale di scolo apertosi in Decimomannu.

[6]
                        [6] Starello. Misura agraria di superficie e di capacità, in Sardegna è chiamato Moi o Mou, usata prima dell’ entrata in vigore del sistema metrico e corrisponde a 40 Are (4000 mq.) di superficie e a circa 50 litri di capacità (16 imbuti, litri 49,17 ). La capacità di 50 litri era convenuta, poiché questa quantità, solitamente grano, corrispondeva a quella necessaria alla semina di un Moi. 

[7]
                        [7] Quartara. Recipiente in terracotta, usato per la misurazione di olio vino e aridi*, In uso prima dell’avvento del sistema metrico nelle comunità agrarie, in Sardegna aveva il valore di 4.72 litri. *Aridi; solidi incoerenti, tipo, grano,sabbia e simili. 

[8]
                        [8] Sassari 31.08.1882

[9]
                        [9] Forse un refuso, non secolo ma millennio!

[10]
                        [10] La festa della Madonna del Carmine si svolge il 16 Luglio.