1323 I CATALANO ARAGONESI

 LA CONQUISTA DELLA SARDEGNA.

            Gli Iberici, catalano aragonesi si preparano a conquistare la Sardegna e successivamente a difenderla.

Quali motivi portarono gli aragonesi a tale impegno, gravoso e oneroso per una terra quasi deserta, forse 400.000 abitanti, e non economicamente importante. Sarebbe stato molto meglio tenere la Sicilia con i suoi fertili campi, al posto degli stagni e delle terre desertiche di “cui il cielo e l’aria erano pestilenziali”, la Sardegna. Giacomo II persisteva nella necessità della conquista e difesa dell’Isola Sarda come fosse una cosa assolutamente primaria della sua Corona.

            In virtù degli accordi di Anagni, Giacomo II e la Corona dovevano lasciare la Sicilia e l’eredità imperiale degli Staufen. Da cui l’obbligo per il sovrano iberico di difendere una delle isole che costituivano il triangolo Mediterraneo, pena la caduta di prestigio personale e dinastico. Le cose non andarono bene, nel corso dei decenni si propose di lasciare la Sardegna ai Sardi, come disse Zurita ”poiché era una terra miserabile e pestilenziale e la gente che l’abitava vilissima e fatua, e che fosse una tana di esiliati e malfattori”.

            La storia della conquista della Sardegna, fatta dagli aragonesi, ebbe il vanto di essere scritta da un re, Don Pietro figlio di Don Alfonso che la conquistò. Zurita si rifece alle cronache di Pietro IV. Quasi tutti gli storici e storiografi successivi, come Manno, presero dalle cronache degli storici suddetti.

            L’infante Alfonso, futuro Alfonso IV il Buono (Benigno) ”Principe di gran cuore e di mente svegliata”, ricevette l’incarico di conquistare la Sardegna, dopo la rinuncia dell’Infante Giacomo primogenito. L’impresa costrinse gli spagnoli ad attrezzare una flotta. Questa era necessaria per il trasporto delle truppe ed armamenti, compresi i cavalli, doveva fungere anche da mezzo di guerra specie con le imbarcazioni più veloci e maneggevoli. La flotta piuttosto grande, era comandata da Francisco Carroz, comprendeva 300 imbarcazioni tra cui 60 galere* 24 navi a vela* le cocche*, tra le quali quell’ammiraglia, la Sant’Eulalia. C’erano anche delle imbarcazioni dette uscieri (uxer), speciali per il trasporto dei cavalli.

            *La cocca tipica imbarcazione medioevale, con scafo tozzo a guscio di noce, nave grossa d’alto bordo a tre alberi.

            *La veliera grande pesante, poco autonoma nei movimenti, non adatta alle battaglie.

            *La galera nerbo delle squadre da combattimento, remiera, veloce, sottile e bassa di bordo.

            Le forze Ispaniche si riunirono a Port-Fangòs, Tarragona, dove erano presenti le massime cariche e personalità d’Aragona, Valenza e Catalogna che condividevano l’impresa. I soldati e gli armamenti raccolti per la spedizione erano tanti che i potenti italiani si preoccuparono, pensavano che l’impresa non si sarebbe fermata in Sardegna. Lo stesso Pontefice Giovanni XXII, pur conoscendo che l’impresa era approvata dalla chiesa, accolse freddamente l’inviato d’Aragona, sperando che, il re volesse inviare le sue “forze” verso altri nemici. Jacopo II sfruttò l’inimicizia tra lucchesi, fiorentini e pisani. I pisani per evitare la guerra pagarono i nemici, ma questo non servì.

            La conquista o occupazione che dir si voglia, dell’Isola cronologicamente ebbe inizio l’11 aprile 1323 quando Ugone II D’Arborea aprì le ostilità contro Pisa, il giudice fu spalleggiato da molte rivolte indigene. Il 15 maggio Giacomo II invia un piccolo contingente, tre galere con 800 uomini al comando di Gerau y Dalmau de Roccabertì. Il 31 maggio 1323 sotto il comando supremo dell’Infante Alfonso parte la flotta di 300 imbarcazioni. Ugone II consigliò gli spagnoli di sbarcare a Palmas (Sulcis). Dopo circa un mese, necessari a costituire delle teste di ponte ed organizzare la logistica, i catalani cingono d’assedio Iglesias (Villa di Chiesa) tra il 24 giugno e 4 luglio. In questo periodo gli aragonesi stringono degli accordi con i Doria, i Malaspina Sassari e Ugone. Iglesias cadrà il 7 febbraio 1324 (dopo sette mesi), da qui inizia la marcia verso Cagliari che porterà alla conquista di centri importanti come Domusnovas (13 febbraio). Alla fine del mese, la data è controversa e varia dal 28, 29 febbraio al 1° marzo che sono definiti ultimo giorno di carnevale, primo giorno di quaresima (le ceneri), avviene una delle battaglie campali più importanti per la Sardegna, tra pisano-sardi contro i catalano-aragonesi la battaglia di Lutocisterna*.

Le battaglie campali in Sardegna furono solo due, quelle di Lutocisterna e di Sanluri. In particolare quella di Lutocisterna fu l’unica battaglia in linea che vide due eserciti contrapposti, quello pisano e quello Iberico. A capo dei due eserciti c’erano da una parte Manfredi della Gherardesca, conte di Donoratico, ai cui ordini rispondevano circa 1000 cavalieri tedeschi, 200 pisani e 500 tra fanti e balestrieri oltre a 200 cavalieri Sardi della città di Terranova (Olbia). Questo secondo quanto riferirono gli informatori del Giudice d’Arborea Ugone II. Dall’altra parte l’Infante Alfonso a capo di 500 cavalieri e 1000 fanti. La notizia è comunicata dallo stesso Alfonso in una lettera al padre.

I due eserciti giunsero al luogo dello scontro provenienti da opposte direzioni. I Pisani, dal 25 febbraio sbarcati presso la spiaggia di santa Maria Maddalena (Capoterra). Si diressero in parte verso “Castello”, assediato dagli spagnoli che si erano stanziati a Bonaria. Un altro folto contingente si accampò a Decimo. Gli Iberici partirono da Selargius, dove si erano accampati per tentare la conquista di Cagliari, allo scopo di intercettare l’esercito nemico, seguendo un percorso simile a quello dell’attuale 554.La parte dei pisani che si era accampata a Decimomannu scese verso Cagliari. Fu inevitabile che le due armate si incontrassero nei pressi di Maso a Lutocisterna. Appena i due eserciti si avvistarono si predisposero alla battaglia. Due differenti urti delle cavallerie, seguiti dagli scontri corpo a corpo dei soldati a piedi, costrinsero i pisani che erano scampati alla sconfitta, alla fuga verso”Castello”. Una parte invece, in rotta, trovò la morte nello stagno affondando con le armature nelle acque paludose e melmose, anche a causa del peso delle armi e delle armature.  Dopo, gli spagnoli s’insediano sul colle di Bonaria e cinsero d’assedio “Castello”.

            Dalle cronache del giugno 1323, alla vigilia dell’assedio aragonese si apprende che le truppe pisane schierate alla difesa di Castello contavano 300 cavalieri, 300 “temibili” balestrieri, 6000 fanti, oltre a 50 soldati di ventura agli ordini di Heinrich il Teutonico: 40 barbute germaniche e 10 italiane. L”artiglieria” era formata da quattro catapulte che potevano lanciare dei massi e bolidi infuocati.

            L’equipaggiamento di difesa personale dei militi in quel periodo e per quei frangenti prevedeva, un “usbergo” (cotta di maglia di ferro che indossata proteggeva il corpo). L’usbergo poteva essere con o senza cappuccio, oppure questo poteva essere indossato separatamente e prendeva il nome di “camaglio”. La testa era protetta da un elmo di ferro, “la barbuta” era quella più frequente.

            Le armi d’offesa erano la spada (spatha) lunga con il fornimento a croce, lo stocco e ”la spada bastarda” detta anche da una mano e mezza. Cerano anche: pugnali, mazze, martelli e le aste (spiedi e ronche). Le armi da lancio dei pisani erano micidiali e questi erano temibili con l’arco ma soprattutto con la balestra, arma rimasta famosa nei tempi, anche oggi si disputano dei tornei.

            *Il toponimo Lutocisterna indica un luogo fangoso (lutus), si può individuare nella zona del Fangario (fangar) accanto ad Elmas ed allo stagno di Santa Gilla. Un passo sulla via che collegava Decimomannu a Cagliari.

            L’analisi delle vicende della battaglia può essere interessante, se si tiene conto oltre che degli antefatti anche dello studio delle forze in campo, dell’evoluzione militare tattica e tecnica e della figura dei personaggi che vi hanno preso parte.

            La flotta Pisana era comandata da Manfredi della Gherardesca, conte di Donoratico. Partì alla volta di Cagliari dal porto toscano con 40 galee, 12 uxer per il trasporto dei cavalli e 60 barche di piombinesi. Il 16 febbraio fece scalo a Terranova, qua furono caricate le forze che i pisani avevano nella città gallurese, il 25 dello stesso mese arrivò a Capo Carbonara. Alfonso fece armare 35 galee, i pisani inviarono tre loro galee in perlustrazione e decisero di dirigersi verso Maddalena spiaggia, evitando lo scontro, dove fecero sbarcare cavalli cavalieri e fanti. L’Infante riferì che era intenzione dei pisani riunire le nuove forze con quelle che erano a Cagliari, quindi attaccare in forze il campo Aragonese.

            Secondo le cronache di quei tempi le galee pisane trasportavano 500 cavalieri 1000 balestrieri. Nel giorno della battaglia le forze in campo erano di 100 cavalieri e 2000 fanti a queste si unirono anche quelle di Cagliari. Qui vi erano 50 cavalieri e 300 fanti, ma le testimonianze parlano di 500 cavalieri che raggiunsero Manfredi a Decimo alla vigilia della battaglia. I pisani avevano assoldato molti cavalieri tedeschi (forse 800), i migliori del mondo, alcuni di questi erano fuggiti da Iglesias dopo la resa della città. Il giorno della battaglia erano al comando di Alfonso 500 forse 800 (?) cavalieri e circa 2000 fanti tra cui diversi Almogavers.

            Come si può notare le forze in campo si equivalevano, forse non tutti i pisani presero parte alla battaglia? L’esito della contesa trova la spiegazione nel comportamento delle truppe e dei loro comandanti.

LA BATTAGLIA   

            Durante la rotta di avvicinamento in Sardegna la flotta spagnola tentò d’ingaggiare una battaglia navale con i pisani, bisognava evitare che sbarcassero in forze e che queste si unissero a quelle di Cagliari.Nei pressi di Capo Carbonara, l’Infante Alfonso armò 35 galee e si portò verso Capo Sant’Elia per dare battaglia. La flotta pisana rifiutò lo scontro, non si avvicinò alle imbarcazioni nemiche per non essere colpita dai balestrieri e queste rimasero ferme, forse per mancanza di rematori? Seguirono a questo episodio, delle trattative con le quali si concordò per uno scontro campale. I pisani furono liberi di sbarcare, cosa che fecero il 26 febbraio a Santa Maria Maddalena spiaggia. Manfredi si diresse verso Decimo. Tutto questo avveniva sotto il controllo di 25 cavalieri catalani che tenevano informato Alfonso.

            Il 29 febbraio Manfredi partì da Decimo alla volta di Cagliari, con un esercito organizzato in tre formazioni, per unirsi alle forze in città. L’Infante Alfonso informato delle mosse di Manfredi, decise di attaccarlo prima che questi si unisse ai cagliaritani. Alfonso cercò di anticipare la battaglia contro le forze pisane, sulla Strada Decimo Cagliari. Una serie di assalti portarono subito al ferimento dei due maggiori contendenti: Alfonso e Manfredi. Quest’ultimo ferito gravemente al volto si rifugiò a Cagliari. La mossa condizionò l’esercito pisano che in rotta tentò di raggiungere la città. L’ambiente con il suo terreno paludoso fece il resto e molti soldati con i loro pesanti armamenti perirono nello stagno. A tutto ciò si aggiunse la vittoria della flotta comandata da Francesco Carroz, nel porto di Cagliari. L’ammiraglio catturò gran parte dei pisani che tentavano di rifugiarsi nelle proprie navi. Altri pisani furono uccisi dai sardi nelle ville dove avevano cercato scampo.

            Sul campo rimasero 300 cavalieri, 200 tra i migliori pisani e tedeschi. Tra fanti e cavalieri, in battaglia e nel fango ne morirono, farse, 1200.

            Una cronaca Sarda del periodo ci fa conoscere questa battaglia in modo diverso. A scontrarsi furono l’avanguardia pisana comandata da Enrico della Mula, un tedesco, con 200 cavalieri e 300 fanti, e l’esercito dell’Infante, che era formato da 800 cavalieri e 2000 fanti. I pisani persero 100 cavalieri e 200 fanti ed ebbero la peggio, gli spagnoli con l’Infante ferito persero 160 uomini. Manfredi arrivò a scontro concluso.

 

LE PERSONALITÀ DELLO SCONTRO

            I protagonisti della battaglia furono: l’Infante Alfonso in qualità di capo spedizione, il suo ammiraglio Francisco Carroz. Tra i pisani oltre a Manfredi della Gherardesca ebbe molta importanza Enrico il tedesco. Anche i sardi ebbero la loro parte, non sempre legate alla vicenda della battaglia.

            L’Infante Alfonso fu soprannominato il Benigno o anche il Buono. Persona di carattere affabile, famoso anche successivamente per la sua disponibilità. Regnò brevemente e si trovò a farlo tra due giganti quali Giacomo II e Pietro IV il Cerimonioso. I giudizi sulla sua figura sono controversi e vanno visti con una giusta ottica. Secondogenito, educato e docile, definito debole ed imbelle.  Nella battaglia però fu il perno di tutte le vicende, indomabile e strenuo difensore dello stendardo, perso riconquistato e difeso sino alla vittoria. Si batté come un leone e come un buon cavaliere, seppure il suo destriero gli fosse stato ucciso. Il figlio Pietro IV storico della battaglia, tra le altre informazioni non riporta che il padre fu ferito né che ebbe uno scontro con Manfredi. Tutte le cronache e le notizie successive lo descrivono ferito, disarcionato indomabile con la sua spada nota per le virtù in battaglia, la Vilardell. Affrontò e uccise la maggior parte di un manipolo di comandi di 12 tedeschi che lo avrebbero dovuto uccidere ed impadronirsi dello stendardo. Ferì Manfredi che disarcionò dal cavallo, questi per le ferite riportate riparò verso Cagliari portando con se un gran numero di pisani. Alfonso invece continuò la sua battaglia. L’Infanta Teresa d’Estenca scriveva che il marito era sano e allegro, Alfonso nella sua lettera scrisse di avere con se solo l’elmo di Manfredi. Alfonso in Sardegna segui una sua politica , non sempre questa coincise con quella del padre, il re. Espresse una politica autoritaria. La differenza tra padre e figlio si evidenzia quando da Cagliari gli viene richiesta la concessione dei privilegi di Barcellona. L’Infante rispose negativamente, poiché sono tali e tanti che la giustizia viene perduta, e il potere del signore fortemente limitato; per queste ragioni il signor Infante farà tutto il possibile per evitare che il Castello di Cagliari sia abitato secondo le consuetudini e i privilegi di Barcellona; bensì vuole concedere agli abitanti di Cagliari privilegi tali che dovranno accontentarsene”. Concesse comunque uno statuto privilegiato, ma non quello di Barcellona. Qualche mese dopo, Giacomo II concedeva il Coeterum, quanto Cagliari aveva sollecitato.

 

            L’Ammiraglio Francesco Carroz, valenzano, nobile rappresentante della grande feudalità che partecipò all’impresa Sarda. Fu spesso in contrasto con gli ufficiali regi e con gli alleati d’Arborea, in seguito la sua famiglia divenne una delle più potenti della Sardegna, con i feudi e possedimenti. Personalità importante che si ergeva a protagonista con iniziative personali e autonome tanto da guadagnarsi il titolo di negligent.Era, in ogni caso l’ammiraglio della flotta aragonese che doveva portare l’assedio a Cagliari, mentre l’infante faceva altrettanto ad Iglesias. Alfonso gli ordinò anche di portarsi di fronte a Porto Pisano per fare in modo che non partissero i rifornimenti per la Sardegna. Ma, da quanto asserirono i nemici, preferì seguire iniziative personali in Corsica e nella Sardegna orientale. Durante la battaglia di Lutocisterna contribuì a fermare i pisani in fuga verso le loro navi. Si affermò che i cavalieri pisani non uscissero da Cagliari per il timore che il Carroz li attaccasse alle spalle.

            Enrico il Tedesco (Heinrich il Teutonico). Inviato da Pisa in Sardegna nel 1323 con la carica di governatore civile e militare (conestabile), insieme ad altri 40 tedeschi a cavallo. Si distinse durante l’assedio di Iglesias. Alla caduta della Villa passò a Cagliari. Ebbe, secondo molte cronache, un’importanza notevole durante la battaglia, avrebbe dovuto con i suoi compagni uccidere Alfonso. Secondo le cronache sarde di quel periodo avrebbe ferito l’infante, ma morì nel duello.Per altre notizie, si rifugiò a Cagliari. Fu considerato il vero eroe dei pisani, la sua sconfitta fu attribuita al minor numero di forze rispetto agli aragonesi. Enrico non volle aspettare il grosso delle forze, comandava le avanguardie. Si afferma che Manfredi arrivò in ritardo. Tradimento? Forse, la domanda circolava a Castel di Castro la Cagliari Pisana.

            Manfredi della Gherardesca. L’arrivo in ritardo di Manfredi alla battaglia fu attribuito ad una scelta politica, o come dissero molti Pisani a tradimento. I Donoratico dovevano proteggere la loro curatoria ed il sesto del regno, quindi ingraziarsi la corona aragonese. Una conferma di questo si ha dal poeta contemporaneo pisano Manfredi Grachi, fautore della guerra contro gli aragonesi che attribuisce al “vilis Manfredis” le colpe della sconfitta pisana. Questi fu gravemente ferito durante la battaglia, perse l’elmo e il suo cavallo che fu catturato dall’armentario di Gippi poiché i pisani furono attaccati dai sardi delle ville da cui erano fuggiti dopo la battaglia e dove avevano arruolato un gran numero di soldati. Nei mesi successivi Manfredi partecipò alle trattative di pace con l’Infante.

            I Sardi. Il giudice d’Arborea che era anti pisano appoggio subito Alfonso al quale si sottomise, molti altri sardi fecero lo stesso e l’infante cercò di organizzare il loro arruolamento nel suo esercito. Manfredi mobilitò i sardi delle ville dei Donoratico. Lo stesso i pisani furono attaccati dai sardi nelle ville dove cercarono rifugio.

            Gli Almogavares. E’ questa una figura di combattenti molto singolare e poco conosciuta. Il loro nome deriva dall’arabo è significa esploratore in terra nemica. Dal XII secolo facevano parte dell’esercito aragonese. Combattenti, soldati e banditi allo stesso tempo. Il loro modo di combattere era simile a quello degli Arabi, naturalmente in modo contrapposto, si battevano senza regole in ordine sparso, con agguati, secondo alcuni furono il prototipo dei cavalieri e soldati di ventura. Si offrivano ai Principi stranieri pur di combattere. Non avevano una divisa, il loro abbigliamento era sempre lo stesso in qualunque stagione, con qualunque tempo. Non avevano equipaggiamento difensivo, avevano armi per l’offesa: lancia, spada, pugnale. Combattevano a piedi, potevano servirsi del cavallo del nemico vinto in battaglia. Per elevarsi a gradi superiori dovevano dare prove di lealtà, coraggio, senso tattico e intelligenza in guerra. Subirono la concorrenza dei cavalieri e soldati di ventura. Il loro nome rimase come pure la fama, alla fine del XIV secolo scomparvero. Costituirono la quasi totalità della fanteria di Alfonso nella Battaglia.