Il
Periodo Romano
Decimo, come è noto, deve il suo nome al fatto
che sorgeva lungo la strada romana
Karalim-Sulcis, di questa strada non si trova menzione nell’”Itinerarium Antonini” ma il nome
“Decimo” dato al paese che trovasi situato al X MP da Cagliari e la direzione della strada con i ponti rovinati
lungo il suo percorso, sono indici sufficienti per individuarne l’esistenza.
Una colonna miliaria, oggi perduta, posta tra il
ponte e la chiesa di Santa Greca, segnava appunto il decimo miglio da Cagliari
della strada militare romana che portava alla città romana di Sulcis, oggi S.
Antioco.
Allo stesso modo derivano altri nomi di
paesi che si trovavano lungo il
percorso delle antiche strade romane.
Anche il Lamarmora scoprì molte tracce, nelle vicinanze
di Decimo, di una strada romana e in una delle sue opere
dedicò a Decimomannu una fitta pagina.
Decimo, anticamente non era altro che uno dei tanti
piccolissimi villaggi e fattorie che sorgevano lungo le strade romane, non era
certo una città come noi la intendiamo, inoltre, fin dalle sue più antiche
origini, esso, per quanto è dato sapere, non ha avuto nessun’altra denominazione.
Qualcuno a
questo punto potrebbe essersi chiesto come mai non ho iniziato a parlare di
Antica Valeria, spesso citato dagli anziani
del paese come antico nome di Decimo; negli anni sessanta
l’amministrazione comunale del tempo, chiamò pomposamente, ma sicuramente senza
troppa convinzione, con questo nome un viottolo del paese.
Sicuramente il nome sprigiona un innegabile,
misterioso fascino. Sembra di vedere una ricca e grande città, fervente di
vita e sfavillante di artistiche
costruzioni, come dovevano essere Nora
o Tharros.
Ma era proprio così? qual’è, dunque, la verità? donde è derivato il nome Antica Valeria? Diciamo
subito, anche se questo deluderà non pochi cittadini di Decimo e “fans” di
Antica Valeria, che tutto è nato da un mero errore di trascrizione di un amanuense;
errore tramandatosi per secoli ad opera
di autori che si documentavano
sull’opera di Tolomeo.
Il geografo Claudio Tolomeo, infatti fu il primo,
nella sua geografia, a menzionare una città, situata in Sardegna, chiamata Valeria,
mai citata in precedenza da altri autori antichi, e di cui riportava le
coordinate geografiche.
Il Fara, nella sua Chorografia Sardiniae, fu
uno di quegli scrittori che prese per buona la notizia e situò Valeria nella zona di Decimo.
Anche supponendo esatta la posizione geografica data
da Tolomeo, essa andrebbe a situarsi ad occidente del meridiano di Cagliari e
sullo stesso parallelo, onde sembrerebbe nel giusto il corografo sardo. Purtroppo
le coordinate geografiche date da Tolomeo nei suoi testi giunti fino a noi, la
situano sempre in posizioni diverse:
Valeria
civitas long. 31,55 lat. 36,00 ed.
1478
“ 31,50 “ 36,00
ed. 1478
“
31,30 “ 36,50
ed. 1511
Fuori della geografia di Tolomeo non abbiamo
alcun’altra notizia o accenno qualunque
dell’esistenza di una città antica con questo nome in Sardegna.
Esistevano però i popoli valentini, ricordati dallo
stesso Tolomeo, che abitavano all’interno dell’isola e precisamente nella
regione chiamata Parte Alenza, ove si trovano resti di costruzioni romane,
monete e altri oggetti antichi. La secolare tradizione locale, oltre al nome
ancora conservato nella sua genuina forma romana, vi pone nella zona una antica
città chiamata Valenza, le cui vistose rovine si trovano in prossimità di Nuragus, dove sorge una chiesetta molto
antica detta appunto di Santa Maria de Alenza
che sembra perpetuare l’antica denominazione.
Le rovine di una città chiamata Valeria sono affatto
sconosciute all’archeologia sarda per cui è certo che l’oscuro amanuense di Tolomeo,
trascrivendo quei testi genuini, abbia corrotto il nome di “Valentia” in “Valeria”, tramandando ai posteri un problema geografico
apparentemente insolubile.
Tolomeo, infatti,
che cita Valeria Civitas, non fa stranamente il minimo accenno a Valentia
Civitas, la città di Valenza, colonia romana assai importante che ha una
secolare tradizione storica sul nome della regione omonima, di cui invece fanno
esplicita menzione geografi e storici romani. Lo stesso Tolomeo, inoltre, fra
gli abitanti dell’isola, ricorda i Valentini, cioè gli abitanti di Valentia;
non ricorda mai i..... Valeriani, o meglio gli abitanti di una ipotetica e
fantastica Valeria, appunto perché non
è mai esistita!
Altri scrittori posteriori, purtroppo raccolsero
l’errore del Fara ed attribuirono all’area di Decimo un’antica città nata
dall’errore di un amanuense di Tolomeo.
Ritornando al Fara, infatti, nel foglio 83 della sua
“Chorografia Sardiniae”, si riporta
testualmente: “et civitas, Valeria a Ptolomaeo
dicta, quam non procul a Decimo Magno fuisse, docent monumenta, quae ibi
supersunt” (e che la città, chiamata Valeria da Tolomeo, esistesse non
lontano da Decimo Mannu, lo dimostrano i monumenti che ivi si trovano).
I monumenti “quae
ibi supersunt” sarebbero i ponti romani e i reperti archeologici trovati
nell’area del Comune: l’arco sul Flumineddu appartenente all’antico acquedotto
cagliaritano e le tracce dell’antica strada romana Karalim - Sulcis che non presupponeva
necessariamente l’esistenza di un’antica città, ma di “oppidum” o di un “vicus”di
importanza agricola situata all’incrocio delle due strade, proprio o quasi al
X° miliario della strada romana.
Il canonico Spano, ritenendo anch’egli, attendibili
gli elementi del codice Tolemaico, credeva di poter collocare la Valeria
Civitas a NE dell’attuale Vallermosa, a “ Sa
Ballada”, da lui creduta corruzione di Valeria, dove esistono rovine romane e resti medioevali della Villa di
Pau. Ma anche una tale ipotesi non è sostenibile.
Altri, invece, hanno creduto poterla situare presso
Corongiu a sud di Villamassargia.
Questo fatto sta a dimostrare quanto sia determinante
nei documenti storici l’esatta interpretazione dei testi originali e come, un banale errore di
trascrizione da parte di un anonimo
scrivano, possa causare, come in questo caso, tanti guai, creando una città inesistente.
Comunque, benchè la cosa possa apparire strana non è
questo l’unico caso conosciuto, di paese inesistente nato da un errore; anzi il
“fenomeno” è tutt’altro che raro!
Per quanto riguarda i paesi scomparsi della
Sardegna, nel periodo medioevale, ad esempio, gli errori di trascrizione o di
interpretazione dei nomi dagli antichi manoscritti, da parte di studiosi, anche
insigni, in periodi anche recentissimi,
ha portato, alla proliferazione di paesi scomparsi per cui si è
venuta a creare una certa confusione in questo campo.
Comunque si può senz’altro affermare che Decimo,
benchè non fosse la leggendaria Antica Valeria, sicuramente era nell’antichità, un centro di una certa importanza; lo testimoniano i ritrovamenti archeologici
venuti alla luce nelle varie epoche nel
suo territorio. Detti reperti risalgono, come si è già visto, al periodo
Protosardo e Punico. Per quanto riguarda il periodo Romano, si hanno prove
della presenza della dominazione romana sia del periodo repubblicano che di
quello imperiale, sappiamo, ad esempio che nell’epoca dell’impero, appunto,
i territori del Campidano, furono assegnati all’aristocrazia senatoria.
A Decimoputzu, a Villa Speciosa e a San Sperate
furono scoperte alcune iscrizioni funerarie che attestano la presenza nell’area
di Decimo di membri di famiglie romane
di un certo rilievo, con i loro servi e liberti. Tali iscrizioni appartengono
quasi tutte alla nobilissima famiglia dei Peducci, di rango senatorio,
congiunti del celebre personaggio omonimo che governò la Sardegna al tempo di
Cicerone. Sappiamo da diverse fonti che molte famiglie romane si trasferirono
in Sardegna al tempo della Repubblica, con i loro servi e clienti. La famiglia
senatoria dei Peducci, una delle più ragguardevoli per ricchezza ed influenza
politica nella Roma del tempo, fu una di quelle, e si stabilì in questa zona,
così fertile e ricca entro la pertica dell’antica Caralis: era il cosiddetto “Municipium Iulium”, popolata da coloni
e veterani delle guerre civili,
premiati dai loro capi con terre di conquista e di confisca in Sardegna.
La nota caratteristica del paesaggio campidanese di
quei tempi, era data certamente dal gran numero delle fattorie, brulicanti da
una moltitudine di coloni, di liberti e di schiavi. Questi centri rurali erano
legati allo sfruttamento agricolo e gravitavano attorno al grosso centro urbano di Karalis. L’odierno paese di
Elmas , deve la sua origine ed il suo nome appunto ad una di queste fattorie .
Ancora oggi la zolla sconvolta dall’aratro lascia scaturire in cento luoghi, ruderi di
antiche ville romane, che dimostrano come in quella lontana epoca la campagna
fosse assai più densamente popolata di adesso.
A ponente di Villa Speciosa sono ancora visibili
rovine di una villa rustica romana, con bagno e pavimenti in mosaico.
Ad Ischiois, nella campagna tra Uta e Assemini, si trovano le rovine di un
altra villa romana di età imperiale, perpetuatasi anche in età medioevale.
Nell’area archeologica di S. Cromazio in territorio
di Villa Speciosa furono scoperti nel 1971 i resti di una ricca villa romana
con pavimenti in mosaico.
Nella stessa zona e nello stesso periodo fu scoperta
una tomba romana con un'iscrizione lungo il bordo del sarcofago con coperchio a
spiovente e una sorta di acroteri agli angoli; l'iscrizione è la seguente: D.M.
HONERATA VIXIS (sic) ANNIS XVIIII MATER NON (sic) MERENI....
Queste ville erano fornite di tutti i “conforts”
della vita civile e permettevano a questi audaci, antichi imprenditori, di sfidare
le avversità dell’ambiente, in regioni spesso malsane e tormentate dalla malaria.
A is Bingias Beccias, tra Decimo e Villa Speciosa,
in un terreno di proprietà del Cav. Giovanni Diana, si trovano tracce di
un’altra villa romana, dove fu rinvenuta, tra l’altro, la parte anteriore di un
ricco sarcofago di epoca imperiale, raffigurante un centauro che rapisce una
donna.
Ma qui i romani lasciarono anche altri ricordi: nei
dintorni di Decimo, affiorano ancora i ruderi dell’antico acquedotto di Caralis
romana, che dalle sorgenti di Capudabbas, a ovest di Villamassargia, portava le
limpide acque al capoluogo. Dalla forma dei mattoni in ceramica e dal bollo di
fabbrica, si deduce che fu costruito nei primi anni dell’impero e forse fu
ridotto in rovina durante le invasioni saracene. Il materiale ceramico
impiegato nella costruzione, proveniva dalle officine di Roma, appartenenti
alla gente senatoriale dei Domizi, e precisamente a Lucilla Domizia.
Le rovine
dell’acquedotto affiorano attualmente a sud di Villa Speciosa e corrono parallelamente
alla strada iglesiente sino alla chiesa di Santa Greca, per ricomparire poi tra
Assemini ed Elmas.
Oltre agli acquedotti, ai teatri, alle terme, che resero più intensa ed elevata
la vita civile, i Romani diedero un notevole impulso alle opere stradali. Fino
ad un secolo fa era ancora intatto sul Rio Mannu il già menzionato ponte romano
di Decimo, uno dei più notevoli fra quelli costruiti in Sardegna dai Romani
con le sue tredici arcate di cui oggi non ne restano che due.
Ai tempi dello storico Fara, che scriveva nel 1580,
parlando del ponte romano di Decimo
nella sua Chorografia sarda
afferma che ai suoi tempi esso era ancora efficiente, su di esso passava,
infatti, l’antica strada militare romana, che veniva chiamata volgarmente “sa
bia de is Maurreddus”, e che era l’unica via di comunicazione con la
regione sulcitana.
Nella zona di Corongiu fu ritrovato, accanto ad un
frammento della colonna miliaria originaria, una lapide in trachite che recava
la seguente iscrizione:”Viam quae ducit
Karalibus Sulcis vetustate corruptam restituit” (Strada che da Cagliari
conduce a Sulcis, essendo stata rovinata dal tempo, fu restaurata); purtroppo
non recava altre indicazioni come nomi o date.
Le tracce di questa strada, attualmente sono: il
ponte sul Rio Mannu, a Decimo ed un tratto notevole del massicciato stradale
fra S. Antioco e San Giovanni Suergiu, presso il cordone litoraneo ed il ponte.
La strada, infatti, partendo da Sulcis, attraversava
il ponte e si immetteva nel cordone litoraneo, raggiungeva la località
dell’attuale S. Giovanni Suergiu; indi, seguendo il litorale. arrivava presso
Malzacara in cui restano ancora tracce di edifici termali, e ruderi di
costruzioni coloniche; proseguiva
quindi fino a Paringianu e di là imboccava la valle del Flumentepido. Presso la
chiesetta di S. Maria in cui si trovano tre iscrizioni miliarie. La strada
passava poi per Corongiu, dove si è trovato il frammento del miliario con la
lapide; sulle falde del M. S. Miali, presso cui sono tracce di edifici di età
romana, tombe, suppellettili vascolari
e monete in bronzo dell’età imperiale.
Quindi la strada attraversava la valle del fiume
Cixerri e toccava il paese di Siliqua, dove sono state trovate tombe romane, passava
per Decimo, sul ponte romano, poi attraversava Assemini ed Elmas infine arrivava
a Cagliari. Questa vasta zona attraversata
dalla strada romana, corrispondeva, almeno fino a Siliqua, alla pertica di Sulcis.
Decimo e i suoi dintorni ebbero una certa notorietà
fin dai tempi dei romani anche per l’industria figulina, per i vasi e le anfore
vinarie e olearie che vi si fabbricavano e che erano ricercate nella stessa
Roma. Quando Plinio nelle sue ‘’Storie ‘’ (35.17) parla della “ Sarda creta quae affertur ex Sardinia “
(gli oggetti in creta che provengono
dalla Sardegna), sembra si riferisse appunto a quella proveniente da Decimo, i
cui bolli ceramici si trovano in gran numero nel Lazio.
In epoca aragonese, la corporazione degli stovigliai
di Decimo godeva di unsa serie di privilegi.
Al tempo del Lamarmora essi occupavano un quartiere
speciale e lavoravano all'aria aperta, sotto una semplice tettoia per ripararsi
dalla pioggia e dal sole.
Avevano l'obbligo di rispettare l'antica forma delle
anfore, pentole, mastelli etc.
A questo divieto di innovazioni si deve certamente
la conservazione delle belle forme greche e romane delle anfore decimesi.
Tutte le terraglie e stoviglie venivano prodotte in
forni preadamitici, a legna, consistenti in una camera di mattoni crudi (impasto
di fango e paglia), a forma cilindrica con volta forata ad un terzo
dell'altezza e scoperti. Nella parte inferiore si trovava il focolare ,
alimentato con frasche di cisto, lentischio e mirto, le cui fiamme attraverso i
fori opportunamente distribuiti nella volta, lambivano gli oggetti d'argilla
cruda collocati nella parte superiore
del forno.
In
seguito alla progressiva scomparsa degli artigiani di quest'arte ed a
migrazioni di abitanti nei paesi vicini, il primato passò al vicino Assemini,
che lo detiene tutt'ora.