Il Periodo  Romano

 

Decimo, come è noto, deve il suo nome al fatto che   sorgeva lungo la strada romana Karalim-Sulcis, di questa strada non si trova menzione nell’”Itinerarium Antonini” ma il nome “Decimo” dato al paese che trovasi situato al X  MP da Cagliari e la direzione della strada con i ponti rovinati lungo il suo percorso, sono indici sufficienti per individuarne l’esistenza.

Una colonna miliaria, oggi perduta, posta tra il ponte e la chiesa di Santa Greca, segnava appunto il decimo miglio da Cagliari della strada militare romana che portava alla città romana di Sulcis, oggi S. Antioco.[1] Allo stesso modo derivano altri nomi di  paesi che si  trovavano lungo il percorso delle  antiche strade romane.[2]

Anche il Lamarmora scoprì molte tracce, nelle vicinanze di Decimo, di una strada romana e in una delle sue opere[3] dedicò a Decimomannu una fitta pagina.

Decimo, anticamente non era altro che uno dei tanti piccolissimi villaggi e fattorie che sorgevano lungo le strade romane, non era certo una città come noi la intendiamo, inoltre, fin dalle sue più antiche origini, esso, per quanto è dato sapere, non ha avuto nessun’altra denominazione.

Qualcuno  a questo punto potrebbe essersi chiesto come mai non ho iniziato a parlare di Antica Valeria, spesso citato dagli anziani  del paese come antico nome di Decimo; negli anni sessanta l’amministrazione comunale del tempo, chiamò pomposamente, ma sicuramente senza troppa convinzione, con questo nome un viottolo del paese.[4]

Sicuramente il nome sprigiona un innegabile, misterioso fascino. Sembra di vedere una ricca e grande città, fervente di vita  e sfavillante di artistiche costruzioni,  come dovevano essere Nora o Tharros.

Ma era proprio così? qual’è, dunque, la verità?  donde è derivato il nome Antica Valeria? Diciamo subito, anche se questo deluderà non pochi cittadini di Decimo e “fans” di Antica Valeria, che tutto è nato da un mero errore di trascrizione di un amanuense; errore tramandatosi  per secoli ad opera di autori che si  documentavano sull’opera di Tolomeo.

Il geografo Claudio Tolomeo, infatti fu il primo, nella sua geografia, a menzionare una città, situata in Sardegna, chiamata Valeria, mai citata in precedenza da altri autori antichi, e di cui riportava le coordinate geografiche.

Il Fara, nella sua  Chorografia Sardiniae, fu uno di quegli scrittori che prese per buona la notizia e situò  Valeria nella zona di Decimo.

Anche supponendo esatta la posizione geografica data da Tolomeo, essa andrebbe a situarsi ad occidente del meridiano di Cagliari e sullo stesso parallelo, onde sembrerebbe nel giusto il corografo sardo. Purtroppo le coordinate geografiche date da Tolomeo nei suoi testi giunti fino a noi, la situano sempre in posizioni diverse:

 

 Valeria civitas long. 31,55     lat. 36,00    ed. 1478

                                31,50      36,00    ed. 1478

                                31,30      36,50    ed. 1511

Fuori della geografia di Tolomeo non abbiamo alcun’altra notizia o  accenno qualunque dell’esistenza di una città antica con questo nome in Sardegna.

Esistevano però i popoli valentini, ricordati dallo stesso Tolomeo, che abitavano all’interno dell’isola e precisamente nella regione chiamata Parte Alenza, ove si trovano resti di costruzioni romane, monete e altri oggetti antichi. La secolare tradizione locale, oltre al nome ancora conservato nella sua genuina forma romana, vi pone nella zona una antica città chiamata Valenza, le cui vistose rovine si trovano in prossimità di  Nuragus, dove sorge una chiesetta molto antica detta appunto di Santa Maria de Alenza  che sembra perpetuare l’antica denominazione.

Le rovine di una città chiamata Valeria sono affatto sconosciute all’archeologia sarda per cui è certo che l’oscuro amanuense di Tolomeo, trascrivendo quei testi genuini, abbia corrotto il nome di “Valentia” in “Valeria”, tramandando ai posteri un problema geografico apparentemente insolubile.

Tolomeo, infatti,  che cita Valeria Civitas, non fa stranamente il minimo accenno a Valentia Civitas, la città di Valenza, colonia romana assai importante che ha una secolare tradizione storica sul nome della regione omonima, di cui invece fanno esplicita menzione geografi e storici romani. Lo stesso Tolomeo, inoltre, fra gli abitanti dell’isola, ricorda i Valentini, cioè gli abitanti di Valentia; non ricorda mai i..... Valeriani, o meglio gli abitanti di una ipotetica e fantastica Valeria, appunto perché  non è mai esistita!

Altri scrittori posteriori, purtroppo raccolsero l’errore del Fara ed attribuirono all’area di Decimo un’antica città nata dall’errore di un amanuense di Tolomeo.[5]

Ritornando al Fara, infatti, nel foglio 83 della sua “Chorografia Sardiniae”, si riporta testualmente: “et civitas, Valeria a Ptolomaeo dicta, quam non procul a Decimo Magno fuisse, docent monumenta, quae ibi supersunt” (e che la città, chiamata Valeria da Tolomeo, esistesse non lontano da Decimo Mannu, lo dimostrano i monumenti che ivi si trovano).

I monumenti “quae ibi supersunt” sarebbero i ponti romani e i reperti archeologici trovati nell’area del Comune: l’arco sul Flumineddu appartenente all’antico acquedotto cagliaritano e le tracce dell’antica strada romana Karalim - Sulcis che non presupponeva necessariamente l’esistenza di un’antica città, ma di “oppidum” o di un “vicus”di importanza agricola situata all’incrocio delle due strade, proprio o quasi al X° miliario della strada romana.

Il canonico Spano, ritenendo anch’egli, attendibili gli elementi del codice Tolemaico, credeva di poter collocare la Valeria Civitas a NE dell’attuale Vallermosa, a “ Sa Ballada”, da lui creduta corruzione di Valeria,  dove esistono rovine romane e resti medioevali della Villa di Pau. Ma anche una tale ipotesi non è sostenibile.

Altri, invece, hanno creduto poterla situare presso Corongiu a sud di Villamassargia.

Questo fatto sta a dimostrare quanto sia determinante nei documenti storici l’esatta interpretazione dei testi originali  e come, un banale errore di trascrizione  da parte di un anonimo scrivano, possa causare, come in questo caso, tanti guai, creando una città inesistente.

Comunque, benchè la cosa possa apparire strana non è questo l’unico caso conosciuto, di paese inesistente nato da un errore; anzi il “fenomeno” è tutt’altro che raro!

Per quanto riguarda i paesi scomparsi della Sardegna, nel periodo medioevale, ad esempio, gli errori di trascrizione o di interpretazione dei nomi dagli antichi manoscritti, da parte di studiosi, anche insigni, in periodi anche recentissimi,  ha portato, alla proliferazione di paesi  scomparsi  per cui si è venuta a creare una certa confusione in questo campo.[6]

Comunque si può senz’altro affermare che Decimo, benchè non fosse la leggendaria Antica Valeria, sicuramente era  nell’antichità, un centro di una certa importanza;  lo testimoniano i ritrovamenti archeologici venuti alla luce nelle varie epoche  nel suo territorio. Detti reperti risalgono, come si è già visto, al periodo Protosardo e Punico. Per quanto riguarda il periodo Romano, si hanno prove della presenza della dominazione romana sia del periodo repubblicano che di quello imperiale, sappiamo, ad esempio che nell’epoca dell’impero,  appunto,  i territori del Campidano, furono assegnati all’aristocrazia senatoria.

A Decimoputzu, a Villa Speciosa e a San Sperate furono scoperte alcune iscrizioni funerarie che attestano la presenza nell’area di  Decimo di membri di famiglie romane di un certo rilievo, con i loro servi e liberti. Tali iscrizioni appartengono quasi tutte alla nobilissima famiglia dei Peducci, di rango senatorio, congiunti del celebre personaggio omonimo che governò la Sardegna al tempo di Cicerone. Sappiamo da diverse fonti che molte famiglie romane si trasferirono in Sardegna al tempo della Repubblica, con i loro servi e clienti. La famiglia senatoria dei Peducci, una delle più ragguardevoli per ricchezza ed influenza politica nella Roma del tempo, fu una di quelle, e si stabilì in questa zona, così fertile e ricca entro la pertica dell’antica Caralis: era il cosiddetto “Municipium Iulium”, popolata da coloni e  veterani delle guerre civili, premiati dai loro capi con terre di conquista e di confisca in Sardegna.

La nota caratteristica del paesaggio campidanese di quei tempi, era data certamente dal gran numero delle fattorie, brulicanti da una moltitudine di coloni, di liberti e di schiavi. Questi centri rurali erano legati allo sfruttamento agricolo e gravitavano  attorno al grosso centro urbano di Karalis. L’odierno paese di Elmas , deve la sua origine ed il suo nome appunto ad una di queste fattorie .[7]

Ancora oggi la zolla sconvolta dall’aratro  lascia scaturire in cento luoghi, ruderi di antiche ville romane, che dimostrano come in quella lontana epoca la campagna fosse assai più densamente popolata di adesso.

A ponente di Villa Speciosa sono ancora visibili rovine di una villa rustica romana, con bagno e pavimenti in mosaico.[8] Ad Ischiois, nella campagna tra Uta e Assemini, si trovano le rovine di un altra villa romana di età imperiale, perpetuatasi anche in età medioevale.

Nell’area archeologica di S. Cromazio in territorio di Villa Speciosa furono scoperti nel 1971 i resti di una ricca villa romana con pavimenti in mosaico.

Nella stessa zona e nello stesso periodo fu scoperta una tomba romana con un'iscrizione lungo il bordo del sarcofago con coperchio a spiovente e una sorta di acroteri agli angoli; l'iscrizione è la seguente: D.M. HONERATA VIXIS (sic) ANNIS XVIIII MATER NON (sic) MERENI....

Queste ville erano fornite di tutti i “conforts” della vita civile e permettevano a questi audaci, antichi imprenditori, di sfidare le avversità dell’ambiente, in regioni spesso malsane e tormentate dalla malaria.

A is Bingias Beccias, tra Decimo e Villa Speciosa, in un terreno di proprietà del Cav. Giovanni Diana, si trovano tracce di un’altra villa romana, dove fu rinvenuta, tra l’altro, la parte anteriore di un ricco sarcofago di epoca imperiale, raffigurante un centauro che rapisce una donna.[9]

Ma qui i romani lasciarono anche altri ricordi: nei dintorni di Decimo, affiorano ancora i ruderi dell’antico acquedotto di Caralis romana, che dalle sorgenti di Capudabbas, a ovest di Villamassargia, portava le limpide acque al capoluogo. Dalla forma dei mattoni in ceramica e dal bollo di fabbrica, si deduce che fu costruito nei primi anni dell’impero e forse fu ridotto in rovina durante le invasioni saracene. Il materiale ceramico impiegato nella costruzione, proveniva dalle officine di Roma, appartenenti alla gente senatoriale dei Domizi, e precisamente a Lucilla Domizia.

 Le rovine dell’acquedotto affiorano attualmente a sud di Villa Speciosa e corrono parallelamente alla strada iglesiente sino alla chiesa di Santa Greca, per ricomparire poi tra Assemini ed Elmas.[10] Oltre agli acquedotti, ai teatri, alle terme, che resero più intensa ed elevata la vita civile, i Romani diedero un notevole impulso alle opere stradali. Fino ad un secolo fa era ancora intatto sul Rio Mannu il già menzionato ponte romano di Decimo, uno dei più notevoli fra quelli costruiti in Sardegna dai Romani[11] con le sue tredici arcate di cui oggi non ne restano che due.

Ai tempi dello storico Fara, che scriveva nel 1580, parlando del ponte romano di Decimo  nella sua Chorografia sarda afferma che ai suoi tempi esso era ancora efficiente, su di esso passava, infatti, l’antica strada militare romana, che veniva chiamata volgarmente  “sa bia de is Maurreddus”, e che era l’unica via di comunicazione con la regione sulcitana.

Nella zona di Corongiu fu ritrovato, accanto ad un frammento della colonna miliaria originaria, una lapide in trachite che recava la seguente iscrizione:”Viam quae ducit Karalibus Sulcis vetustate corruptam restituit” (Strada che da Cagliari conduce a Sulcis, essendo stata rovinata dal tempo, fu restaurata); purtroppo non recava altre indicazioni come nomi o date.

Le tracce di questa strada, attualmente sono: il ponte sul Rio Mannu, a Decimo ed un tratto notevole del massicciato stradale fra S. Antioco e San Giovanni Suergiu, presso il cordone litoraneo ed il ponte.

La strada, infatti, partendo da Sulcis, attraversava il ponte e si immetteva nel cordone litoraneo, raggiungeva la località dell’attuale S. Giovanni Suergiu; indi, seguendo il litorale. arrivava presso Malzacara in cui restano ancora tracce di edifici termali, e ruderi di costruzioni coloniche;  proseguiva quindi fino a Paringianu e di là imboccava la valle del Flumentepido. Presso la chiesetta di S. Maria in cui si trovano tre iscrizioni miliarie. La strada passava poi per Corongiu, dove si è trovato il frammento del miliario con la lapide; sulle falde del M. S. Miali, presso cui sono tracce di edifici di età romana,  tombe, suppellettili vascolari e monete in bronzo dell’età imperiale.

Quindi la strada attraversava la valle del fiume Cixerri e toccava il paese di Siliqua, dove sono state trovate tombe romane, passava per Decimo, sul ponte romano, poi attraversava Assemini ed Elmas infine arrivava a Cagliari. Questa vasta zona  attraversata dalla strada romana, corrispondeva, almeno fino a Siliqua, alla pertica di Sulcis.

Decimo e i suoi dintorni ebbero una certa notorietà fin dai tempi dei romani anche per l’industria figulina, per i vasi e le anfore vinarie e olearie che vi si fabbricavano e che erano ricercate nella stessa Roma. Quando Plinio nelle sue ‘’Storie ‘’ (35.17) parla della “ Sarda creta quae affertur ex Sardinia “ (gli oggetti in  creta che provengono dalla Sardegna), sembra si riferisse appunto a quella proveniente da Decimo, i cui bolli ceramici si trovano in gran numero nel Lazio.[12]

In epoca aragonese, la corporazione degli stovigliai di Decimo godeva di unsa serie di privilegi.

Al tempo del Lamarmora essi occupavano un quartiere speciale e lavoravano all'aria aperta, sotto una semplice tettoia per ripararsi dalla pioggia e dal sole.

Avevano l'obbligo di rispettare l'antica forma delle anfore, pentole, mastelli etc.

A questo divieto di innovazioni si deve certamente la conservazione delle belle forme greche e romane delle anfore decimesi.

Tutte le terraglie e stoviglie venivano prodotte in forni preadamitici, a legna, consistenti in una camera di mattoni crudi (impasto di fango e paglia), a forma cilindrica con volta forata ad un terzo dell'altezza e scoperti. Nella parte inferiore si trovava il focolare , alimentato con frasche di cisto, lentischio e mirto, le cui fiamme attraverso i fori opportunamente distribuiti nella volta, lambivano gli oggetti d'argilla cruda  collocati nella parte superiore del forno.

In seguito alla progressiva scomparsa degli artigiani di quest'arte ed a migrazioni di abitanti nei paesi vicini, il primato passò al vicino Assemini, che lo detiene tutt'ora.



[1]La colonna recava la seguente scritta: Decimo ab urbe lapide (decima pietra dalla città) perché distava appunto 10 miglia da Cagliari cioè 14, 725 Km. Il miglio romano, infatti è uguale a Km. 1,4725.

[2] Altri paesi che derivano il loro nome dal  miliario  romano  presso cui erano situati sono ad esempio: Sestu (Sesto miliario), Settimo (Settimo miliario), Quartu (quarto miliario).

[3] Itinerario dell’isola di Sardegna

[4] Via Antica Valeria (una traversa di Via Stazione)

[5]Valeria città antica, sua ubicazione “ Bollettino Archeologico Sardo . anno VII 1868 pag. 25”

[6]  Lo studioso Francesco Ponti nella sua ponderosa opera inedita e purtroppo, incompiuta (4 volumi e 250 carte geografiche) sui paesi scomparsi della Sardegna medioevale nei 4 giudicati, ebbe modo di evidenziare numerosissimi casi  di  sdoppiamento  dei paesi, per cui da un unico nome,  derivarono uno o più nomi  creati dalla errata trascrizione di un nome già esistente; addirittura esistono casi di nomi di persona diventati inspiegabilmente paesi, tanto per fare un esempio: Pani Bonu,  sarebbe, secondo molti studiosi, un paese scomparso, mentre in realtà, secondo  la corretta interpretazione di Francesco Ponti, del documento originale in cui  viene citato tale nome, sarebbe  in realtà uno dei giurati di Villa de Palmas ! Altre volte, il manoscritto originale non è affatto chiarissimo, ed è la grafia a trarre in inganno, portando ad errori grossolani; come il caso di Rubeo, che alcuni studiosi hanno ritenuto fosse un  paese medioevale scomparso,  in realtà, Francesco Ponti, dimostrò inequivocabilmente, per quanto possa sembrare strano che Rubeo altro non era che il paese di Milis!. 

[7] Dal  latino Mansio ,  Su Masu in Sardo ed  El Mas in spagnolo

[8] Il primo studioso che scoprì e segnalò alle autorità competenti,  per tanto tempo inutilmente, l’esistenza di questa villa romana fu  Francesco Ponti, nei primi anni '50.

[9] Lo Spano dà notizia del  ritrovamento, a Decimo, presso la distrutta chiesa di S. Nicolò, di un  altro sarcofago, in marmo finemente scolpito ad opera di un certo Silvius Flavius e che recava una iscrizione ritmica latina. Esso però, sarebbe un abile falso del falsario Ignazio Pillito, sospettato anche di essere uno degli autori dei cosidetti  “falsi di Arborea”. Per curiosità, si riporta l’iscrizione “Gli Dei accolgano la tua anima benevolmente, e il volto di Caronte ti sia propizio e benigno”.

[10]  Ad Elmas passava nella zona del Fangario, sopra piloni di cui uno era ancora visibile fino al secolo scorso, quindi proseguiva per Cagliari fino all’ingresso dell’attuale Via Cavour ed il Viale Regina Margherita. All’interno della città l’acquedotto proseguiva sotterraneo e riforniva tutta la città mediante condotte e vasche di raccolta, molte delle quali ancora esistenti in vari punti della città.

[11]Attualmente ne rimangono solo tre: Sant’Antioco, Porto Torres, Gavoi

[12]Bolli figulini di Decimo BAS anno VIII 1869 p. 78

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