I Primi abitatori del territorio

 

I primi abitatori della regione furono i Nuragici, quel popolo fiero e forte che seppe con i nuraghi, con le tombe dei giganti, con le fonti sacre, i complessi santuari e con le belle statuette di bronzo, lasciare gloriosa testimonianza del loro insediamento in ogni parte della Sardegna. Di fronte alle primitive civiltà delle grotte naturali, dove vivevano gli antichissimi abitanti del resto dell’Italia nel medesimo periodo, questa civiltà rappresenta una fase più progredita.

Purtroppo i nuragici non ebbero una scrittura ma dimostrarono con chiare tracce di non essere chiusi alla vita dello spirito poiché ad essi non erano ignoti l’ansia e il culto dell’aldilà, come attestano le stele funerarie delle tombe dei giganti e i bronzi votivi. Questo popolo ebbe vivissimo il senso dell’arte che si riscontra nelle statuette di bronzo raffiguranti con sorprendente vigoria gli arcieri, i capi tribù, i sacerdoti, le divinità.

Le genti nuragiche lasciarono tracce evidenti del loro insediamento in numerosi nuraghi, oggi in gran parte distrutti,  per  usarne le pietre come materiale da costruzione o per muri a secco. Alcuni autori ne contano, in tutta la Sardegna, circa diecimila (C. Bellieni), mentre , secondo lo studioso sardo G. Lilliu sarebbero circa settemila, cifra senz’altro più attendibile, conoscendo anche la grande competenza di questo studioso nella materia.

Gli studiosi non sono sempre stati concordi  sull’uso al quale erano destinati i nuraghi. In un primo tempo, infatti, si credettero abitazioni private, templi, torri di avvistamento o fortezze e persino tombe. Il mistero comunque, per quanto possa sembrare strano, non è stato ancora definitivamente risolto; è molto probabile, comunque, che i nuraghi  assolvessero, di volta in volta, a seconda del luogo in cui sorgevano o a seconda della necessità, ad ognuna di queste funzioni.

L’ipotesi  dei nuraghi-fortezze non può, comunque, essere negata, almeno per alcuni di essi, quale ad esempio quello di Barumini, Losa,  S. Antine  ed altri.

Tracce sicure di nuraghi rimangono anche nei dintorni di Decimo, nelle campagne  di  Uta, di Decimoputzu e Villa Speciosa.

Tra Decimo e Uta vi sono chiare le fondamenta di un nuraghe nel sito “Cuccuru de Giba Carrogas” e ad Uta  in località “ Sa Tanca de s’Inzidu“ ve ne sono tre conservati a metà: uno dei quali prende il nome dalla località in cui è situato, il secondo è chiamato “Guardia e Corti”, il terzo “Niu de su Pilloni”.[1]

Un altro nuraghe si trova nella piana di  Monte Arcosu, integro; non evidente perchè coperto da una spessa coltre di terra; è però individuabile nella carta topografica dell’Istituto Geografico Militare, con la denominazione di “Su Gibboni de Sisinni Murgia”.

Il territorio compreso tra Decimo, Siliqua, Uta, Decimoputzu e Villa Speciosa  è  assai interessante dal punto di vista archeologico: fra le altre cose esiste in loc. Cuccureddus sul monte Cilixianu, i resti del nuraghe omonimo, di un villaggio e di un pozzo sacro con rivestimento in granito, edifici fondi di capanne a pianta circolare e una cinta muraria megalitica che doveva cingere tutto il complesso.

Numerosissimi sono, inoltre, in questa zona i ritrovamenti di frammenti e cocci di ceramiche decorate e di armi in ossidiana; per quanto riguarda quest’ultima, i ritrovamenti sono in quantità tale da far supporre l’esistenza di veri e propri centri di lavorazione dell’ossidiana.

Nella località Mitza Purdia tra Decimoputzu e Villa Speciosa, durante i lavori per mettere a dimora un frutteto, fu distrutto un edificio megalitico. Sul luogo sono state trovate anche ceramiche nuragiche di fattura micenea che dimostrano come esistessero contatti diretti tra le due civiltà.

Una stupenda testina di epoca protosarda raffigurante un guerriero con copricapo piumato, fu scoperta a Decimo, e rappresenterebbe il Sardus Pater; secondo il Lilliu, insigne studioso di archeologia sarda, tale reperto presenterebbe  tracce di influenza fenicio-punica. La testina è da annoverare tra i bronzetti nuragici per la sua schematicità longilinea.[2]

A Monte Arcosu, nel 1849, il carpentiere Francesco Pani scoprì un ripostiglio con otto statuine e otto spade di bronzo. Fra le bellissime statuine: un capo tribù, solenne nel suo mantello regale, dei guerrieri, un gruppo di lottatori e dei sacerdoti.

A Monte Idda, non lontano da Villa Speciosa, fra le rovine del nuraghe che sorgeva sulla sommità della collina, vigilata da un monolito detto “Su para”, fu scoperto da due pastori desulesi Francesco Frau e Sebastiano Pranteddu, un importante officina con ripostiglio, appartenente ad una fonderia. Il ripostiglio era costituito da un gran numero di spade, di vario tipo, di robusta ed elegante fattura, le quali hanno una innegabile analogia con quelle rinvenute negli scavi di Micene e di Creta minoica, non dissimili cioè da quelle impugnate dai mitici eroi del tempo di Omero.

Mi sembrano queste testimonianze sufficienti per avvalorare la tesi di un insediamento di tribù nuragiche attorno al luogo dove  poi sorgerà l’attuale Decimo. In seguito i Fenici, i Punici, indi i Romani, lasciarono dovunque le tracce del loro dominio sulla Sardegna.

Sempre nel territorio compreso tra Decimo, Decimoputzu e Villa Speciosa in loc. Monte Truxionis sono state rinvenute delle necropoli puniche e romane; altre tombe e necropoli si trovano anche nelle loc. Su Carropu de sa femmina  e loc. Bau Perdosu.

Negli anni ’50 fu scoperta una tomba romana in un terreno agricolo presso Villa Speciosa.

Nella località “Is Bingias” furono trovati i resti di una villa romana,  una tomba romana ed un menhir di epoca nuragica.

A Decimo, alla fine del secolo scorso, nel 1880, nelle vicinanze dell’abitato, in occasione di alcuni ampliamenti della stazione ferroviaria, furono rinvenuti dei reperti archeologici. Ecco quanto riferiva in proposito il r. sovrastante sig. Nissardi: “Ai lavori si diè principio fin dal gennaio di questo anno, scavando a poco più di un metro dal suolo coltivabile, alla quale profondità si scopersero urne ossuarie in terracotta, piene di ossa combuste, tombe di cadaveri incombusti, costituite da lastroni in tufo arenoso, che misurano 2,00 metri all’incirca di lunghezza per 0,50 di larghezza e 0,10 di spessore, disposti in modo da formare una cassa.

Alcune di dette tombe si rinvennero coperte con embrici, i quali cedettero alla forte pressione della terra soprapposta, frantumando in tal modo i belli oggetti che le me-desime rinserravano.

Si scoperse pure un sarcofago di giuste proporzioni rozzamente scavato in un masso dello stesso tufo arenoso, che misura all’interno 0,67 m di lunghezza per 0,42 m di larghezza. Tali piccole dimensioni, e gli ossicini che ivi trovaronsi depositati, addimostrano dover essere questa la tomba di un bambino.

La mano imperita degli operai ha fatto si, che pochi oggetti siansi estratti intieri. Non scarabei, non amuleti, nè altro dei soliti simboli religiosi, che trovansi nelle tombe simili; solo qualche globetto di collana in smalto, di cui non fecero conto alcuno.

In generale questa porzione di necropoli, si può ritenere come cartaginese, poichè in quasi tutte le tombe, massime in quelle formate di lastroni, si rinvennero delle monete puniche in bronzo di conio globulare, aventi impressa la testa di Astarte da una parte, e dall’altra la protome di cavallo; come anche delle stoviglie finissime a vernice nera, dalle forme svelte e gentili”.

Tombe sporadiche povere di supellettili vennero alla luce durante lavori agricoli in vari terreni attorno all’abitato appartenenti a coloni.


[1]Spano - BAS VIII p. 192

[2]Lilliu - Studi etruschi vol. XVIII pagg.  330 , 359 n:72 e Studi sardi - XI pag. 604

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